Un’ultima incursione seria ebbe luogo ai primissimi d’aprile, in pieno giorno.*
Nagoya, come città, era ormai distrutta, ma qualcosa doveva pur rimanere in piedi, se valeva la pena di venire fin là. Questa volta gli apparecchi volavano bassi e tranquilli, come si fosse trattato d’una gita turistica oppure d’un lavoro di rifinitura pedante e minuzioso. Era ovvio che gli apparecchi prendevano con gran cura la loro mira.
Fu allora che i detenuti, tra i quali Clé [alter ego di Fosco Maraini], videro apparire in cielo certi puntolini neri che, accanto alla mole dei B29 americani, sembravano dei moscerini intorno a dei falchi. Fu subito chiaro che si trattava di kamikaze, di piloti suicidi sui loro apparecchi di morte, adatti a partire dal suolo ma senza mezzi per atterrare. Proprio sopra al Tempaku, forse a un migliaio di metri d’altezza, uno dei moscerini puntò diritto verso il suo B29: le distanze s’accorciarono, s’annullarono, ecco il terribile scontro!
Una gran fiamma rossa scoppiò allora in cielo e il gigante, dal quale si era subito staccata un’ala, cominciò a precipitare a foglia morta, bruciando ed esplodendo verso terra. Mentre bombe, corpi, frammenti d’apparecchi calavano con quella che sembrava una solenne e tragica lentezza, da tutta la città si levò un grido di straordinaria potenza, lanciato da migliaia di petti: “Banzai!” urlavano tutti. “Banzai!”.
A quel fatale punto degli eventi, un vano, inutile: “Evviva!” per un tragico giovane eroe.
Fosco Maraini, Case, amori, universi, Mondadori, 1999, pp. 602-603
* I fatti descritti si riferiscono all’aprile 1945 (nota mia)
Immagine tratta da Wisconsin Central.