In tutti i piaceri è insita la sofferenza, perché traggono la loro origine dall’attaccamento alle cose. Solo i poeti e i pittori conoscono e gustano l’essenza fragrante di questo mondo di contrastri e intuiscono la sua intrinseca purezza. Si nutrono di nebbia, bevono rugiada, valutano i viola, commentano i rossi e, giunti alla morte, non hanno rimpianti. Il loro piacere non dipende dalla materia, e una volta divenuti materia non trovano nell’immenso Universo l’ambito in cui essere costretti a porre in risalto il proprio io. Hanno spontaneamente abbandonato i limiti angusti e fangosi, nel loro copricapo squarciato penetra l’infinita, azzurra tempesta.
da Guanciale d’erba di Sōseki Natsume, trad. di Lydia Origlia, Neri Pozza, 2005, pp. 76-77
Un romanzo stupendo, una vera vacanza per il lettore.
Certamente qualunque letterato accorto nel presentare l’opera di Soseki sentirà il bisogno di sottolineare la squisita continuità con la riflessione della tradizione buddista. Ciò è senza dubbio vero, ma è poco per descriverlo. Perché l’individualità che ne emerge non è solo composta di pura fusionalità con la natura, ma l’individuazione di un coin riflessivo tutto poetico e particolare.
SilviaGoi