Recentemente sono apparsi in Italia due testi (sinora) inediti degli scrittori giapponesi probabilmente più amati nel nostro paese, Murakami Haruki e Banana Yoshimoto.

murakami Welt-Literaturpreis 2014 il mio muro di berlino
Murakami col premio vinto al Welt-Literaturpreis

Il primo, Il mio Muro di Berlino, composto da Murakami in occasione dell’accettazione del «Welt-Literaturpreis», ricorda il venticinquennale della caduta della celebre barriera (1989):

È passato un quarto di secolo dalla caduta del muro di Berlino. Quando visitai per la prima volta Berlino nel 1983, la città era ancora divisa in zona Est e Ovest. I turisti potevano visitare Berlino Est, ma dovevano però passare attraverso numerosi posti di blocco ed erano tenuti a lasciare la zona entro la mezzanotte. Al rintocco della campana, come Cenerentola che abbandona il ballo. In quell’occasione andai a vedere «Il Flauto magico» al Teatro dell’Opera di Berlino Est, con mia moglie e un amico. La messa in scena e l’atmosfera del teatro erano meravigliosi. Ma atto dopo atto le lancette dell’orologio si avvicinavano sempre più alla mezzanotte. Ricordo che ci precipitammo al Checkpoint Charlie e che riuscimmo ad arrivare appena in tempo. Fu comunque la rappresentazione del «Flauto magico» più emozionante della mia vita.

Il sollievo non durò a lungo

Quando ritornai a Berlino, il Muro non c’era più. Mi ricordo ancora il sollievo che provai quando cadde nel 1989. «La Guerra Fredda è finita», pensai, come probabilmente moltissimi altri in tutto il mondo. «Davanti a noi si profilano tempi migliori e più sereni». Purtroppo il sollievo durò poco. Guerra in Medio Oriente, nei Balcani, un attentato terroristico dopo l’altro e, nel 2001, l’attacco al World Trade Center a New York, per cui crollarono tutte le nostre belle speranze. Per me come scrittore, i muri sono sempre stati un tema importante. Nel mio romanzo «La fine del mondo e il Paese delle meraviglie» rappresento una città immaginaria circondata da alte mura da cui non si può fuggire, una volta entrati. Nel romanzo «L’uccello che girava le Viti del Mondo» il mio eroe, dal fondo di un pozzo, riesce ad attraversare le mura e raggiungere un altro mondo. Il mio discorso di ringraziamento in occasione del conferimento del «Premio di Gerusalemme» si intitolava «I muri e le uova». Era sulla durezza dei muri, contro cui ci infrangiamo, fragili come uova. In quello stesso momento a Gaza erano in corso scontri violenti, e mi chiesi se saremmo stati sempre impotenti di fronte a questi muri.

I muri sono un sistema di potere

Per me i muri sono un simbolo di ciò che separa gli uomini dai sistemi valoriali. Limitano, schermano, isolano. In certi casi possono anche proteggerci. Però per proteggerci, dobbiamo escludere quelli che si trovano dall’altra parte del muro – questa è la logica dei muri. All’improvviso diventano un sistema rigido, che si oppone alla logica di altri sistemi, spesso con la forza. Il Muro di Berlino era un esempio lampante di questa dinamica. A volte mi sembra che abbattiamo un muro per erigerne un altro altrove. Può essere un muro fisico o invisibile, che condiziona il modo di pensare. Alcuni muri ci proibiscono di andare avanti, altri muri ci limitano. Finalmente un muro è caduto, il mondo è cambiato, tiriamo un respiro di sollievo. Eppure, improvvisamente da qualche parte è già sorto il prossimo muro. Un muro etnico, religioso, un muro dell’intolleranza, del fondamentalismo, un muro di avidità e paura. Non riusciamo a vivere senza un sistema fatto di muri? Per noi scrittori i muri sono vincoli da spezzare. Non facciamo che questo con le nostre storie – metaforicamente parlando -. Scavalchiamo i muri che separano il reale dall’irreale e la consapevolezza dalla mancata presa di coscienza. Scopriamo il mondo al di là del muro, torniamo di qua e raccontiamo dettagliatamente quanto abbiamo visto, senza pretendere di giudicare il significato del muro o dei suoi pro e contro. Non facciamo altro che rappresentare precisamente quello che appare dall’altra parte. In questo consiste il lavoro quotidiano di uno scrittore.

Anche le storie superano i confini

Se uno legge una storia che sente al cuore e lo tocca in modo particolare, può succedere che sfonda il muro insieme all’autore. Ovviamente, quando chiude il libro si ritrova fisicamente più o meno ancora nello stesso posto in cui era all’inizio della lettura. Se si è mosso, al massimo dieci o venti centimetri più in là. La realtà fisica non è cambiata e non è stato risolto alcun problema concreto. Eppure il lettore ha la sensazione distinta di aver sfondato un muro spesso, di essere stato al di là e tornato al di qua del muro. Ha l’impressione di essersi mosso fisicamente dal suo punto di partenza, quand’anche di soli dieci o venti centimetri. Per questo sono convinto che questa esperienza fisica sia la cosa più importante nell’atto della lettura. Percepisce la sensazione di essere libero, di potere andare dove vuole passando attraverso tutti i muri. È mio grande desiderio scrivere possibilmente romanzi e racconti di questo tipo, e di condividerli possibilmente con molte persone. Ovviamente i problemi che affliggono il mondo non possono essere risolti attraverso una simile consapevolezza comune. Purtroppo la letteratura non ha un impatto così diretto. Ma disponiamo del potere dell’immaginazione, come cantava John Lennon. Anche se ci sembra impotente di fronte una realtà cinica e prepotente, ci mette in condizioni di immaginarci un mondo distinto da quello attuale. La forza della fantasia, che tutti hanno, ci dà la forza serena e inesauribile di continuare a cantare e scrivere storie, senza farsi scoraggiare. La capacità di immaginarsi vividamente un mondo senza muri in un mondo di muri, in certi casi, si traduce quindi in realtà. Credo che le storie abbiano questo potere. E non c’è luogo più ideale di Berlino 2014 per riflettere ancora una volta su questo potere. Vorrei mandare questo messaggio ai giovani di Hong Kong che in questo momento combattono contro il loro muro.

(traduzione di Ettore Claudio Iannelli; brano originariamente apparso nel Corriere della sera)

banana yoshimoto by fumiya sawa Nutrimento per l'anima
Banana Yoshimoto ritratta da Fumiya Sawa

Il secondo racconto, di natura più intima, è chiamato Nutrimento per l’anima ed è stato redatto da Banana Yoshimoto per il progetto WE-Women for Expo:

Quando mio padre versava ormai in uno stato di parziale incoscienza, per due volte di fila mi ritrovai a letto con l’influenza. Avevo la febbre a quarantadue e non riuscivo né a stare in piedi né tantomeno a camminare.

Il desiderio di mandare giù qualcosa era stato spazzato via dalla tristezza per l’imminente scomparsa di mio padre, e quando pure provavo a mangiare non sentivo alcun sapore.

Stentavo a crederci, ma non riuscivo neanche a tenere in mano la pentola per cucinare, mi sembrava pesantissima. Non mi era mai successo prima.

Anche mia sorella, che in quelle circostanze veniva sempre a prepararmi da mangiare, era malata. Nella stagione più fredda dell’anno me ne stavo a letto, congelata e con lo stomaco vuoto, ma non ci pensavo. Non me ne importava. Mio marito si preoccupava per me, di ritorno dal lavoro si fermava sempre a comprare qualcosa, ma proprio non ce la facevo a mangiare.

La prima volta che riuscii a distinguere un sapore fu quando la madre di una mia amica si premurò di mandarmi della zuppa di miso con verdure e carne di maiale. In un solo istante sentii il calore avvolgermi lo stomaco: era squisita. Il pensiero che la mia amica fosse cresciuta con quella zuppa di miso mi toccò profondamente, provavo gratitudine per la sua volontà di condividere con me la fonte della sua energia.

Quella volta, insomma, avevo ricevuto una parte di “energia della mamma di qualcun altro”.

Per loro doveva essere un sapore quotidiano, scontato, tutto fuorché speciale. Ma di sicuro faceva parte dei loro corpi, riusciva a farli sentire a casa, era il sapore su cui avevano sintonizzato le loro anime.

Quella non era la mia casa, quindi non potevo provare nostalgia. Ciononostante, ogni volta che richiamo alla memoria quel sapore, mi viene un po’ da piangere. Il modo di affettare le verdure, la quantità di miso, l’intensità degli aromi. Tutto era stato preparato alla maniera di quella madre, e insieme a lei, un giorno, sarebbe svanito. Furono queste le mie sensazioni.

Dopo aver mangiato la zuppa di miso cominciai a riprendermi e potei tornare a far visita a mio padre.

Però mangiavo ancora molto poco e mi sentivo sempre debole.

Nelle vicinanze dell’ospedale in cui era ricoverato, c’era un famoso ristorante di soba.

Era un posto a me caro, ci andavo sempre con la mia famiglia quando dovevamo sottoporci ad accertamenti, o se c’era qualcuno a cui far visita.

“Sono solo soba, dovrei riuscire a mandarli giù,” mi dissi, e cominciai ad andarci ogni volta, insieme al membro del mio staff che si era offerto di farmi da autista. Erano preparati nel modo più semplice: solo soba senza nessun altro ingrediente. Il loro sapore non era cambiato affatto da quando ero bambina. Il brodo era denso, i soba molto sottili. Io e il mio fidato assistente li mangiavamo con calma, chiacchierando e ridendo. La premura che dimostrò nei miei confronti era commovente, gli ero davvero grata per tutto il suo aiuto in un periodo tanto difficile.

A un tratto pensai che, da bambina, non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei recata in quel ristorante con una pena così grande nel cuore.

Allora c’erano sempre il papà o la mamma davanti a me. Ci andavamo anche tutti e quattro, con mia sorella, anzi, accadeva molto spesso. Consumavamo vari tipi di soba e intanto ridevamo, chiacchieravamo, litigavamo. Magari eravamo preoccupati per la persona a cui avevamo fatto visita e ne parlavamo. Adesso, invece, mi sentivo tremendamente sola.

Ancora una volta, però, percepii dentro di me la spinta di una forza che non avevo mai visto né sentito prima. Accompagnerò mio padre nel suo ultimo viaggio, costi quel che costi. In quella solitudine assaporavo l’istante preciso in cui si diventa adulti. Su, adesso mangia. E poi va’ a trovarlo. Papà è ancora vivo. Devi fargli forza.

L’energia del buon cibo si trasformò in nutrimento per l’anima. È così che è andata, credo.

In quel momento ho sentito ancora più nettamente il gusto del cibo.

È accaduto perché non stavo mangiando come facevo sempre, per inerzia. Per una volta avevo cercato di sentire veramente il sapore di ciò che portavo alla bocca, di trarne energia. Lo stufato di mio marito, il gusto delicato del pad thai (spaghetti fritti alla thailandese) con poco olio che un amico ha preparato solo per me, vedendomi indebolita, nel suo ristorante thailandese, il brodo energetico, pieno zeppo di alghe konbu e pesce, dell’anziano e gentile signore che gestisce un piccolo ristorante di rāmen dalle mie parti. La dolce passata di pomodoro del ristorante italiano aperto dalla mia ex-segretaria, venuta appositamente a casa mia con la macchina per portarmela.

Dietro a ognuno c’era il calore di un sorriso, l’affetto di un essere umano nei miei confronti.

E poi mio padre se n’è andato, dopo di lui se n’è andata mia madre, e io sono ancora viva.

Adesso, quando mangio i piatti di mia sorella, li condivido con il ricordo della nostra famiglia. Siamo soltanto noi due, sorridenti, ma è come se fossimo ancora tutti insieme.

Forse è per via di quest’esperienza, ma da allora in poi, a prescindere dalle mode culinarie del momento, non ho mai più voluto mangiare piatti che non incontrassero il mio gusto, o preparati da qualcuno di cui non potessi vedere il viso.

Anche l’anima mangia.

Ed è proprio l’anima che voglio nutrire.

(Traduzione di Gala Maria Follaco)

Foto tratte da qui e qui.

4 commenti il Due racconti inediti di Murakami Haruki e Banana Yoshimoto

  1. Il 17 giugno prossimo la Feltrinelli pubblicherà “Il Lago”, di Banana Yoshimoto, (€ 13,00).

    Trama dal sito Feltrinelli: “Chihiro ha perso da poco la madre e sta cercando di rifarsi una vita a Tokyo, lontano dalla cittadina di provincia a cui la legano brutti ricordi. Nakajima è tormentato da un passato misterioso che gli impedisce di vivere fino in fondo i propri sentimenti. Mino e Chii vivono in una casa nei pressi di un lago, un luogo fuori dal tempo e dallo spazio. Il lago è uno dei migliori e più sorprendenti romanzi di Banana Yoshimoto, poetico e inquietante, racconta una storia d’amore inusuale, dove il bisogno di affetto e comprensione diventano più importanti dei tradizionali cliché di una relazione.”

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