Bisogna aver fatto pace con i propri vent’anni, con il loro desiderio d’amore e di carne, la rabbia cruda, la voglia di fuga e di casa al tempo stesso. O magari no.
Per entrare davvero in Tokyo orizzontale (Piemme, 2014, pp. 266, € 14,90; si possono leggere le prime pagine qui) di Laura Imai Messina – studiosa di letterature comparate e curatrice del noto blog Giappone Mon Amour – occorre in fondo sentir bruciare sottopelle una furia acerba e percepire tutta la fretta del mondo nelle proprie scarpe al solo pensiero di perdersi voluttuosamente nelle viscere della metropoli.
Lo sanno bene Sara, Hiroshi, Jun e Carmelita, quattro vite agli antipodi destinate forse a intersecarsi fra loro: basta un foulard smarrito al momento giusto, o un biglietto intriso di ricordi abbandonato nel fondo di un bicchiere. E ogni cosa diventa ansia di scivolare avanti, nel baratro e, al tempo stesso, timore e desiderio di abbandonarsi alla vertigine.
E Tokyo, la vera protagonista del libro – impastata di neon e di buio, di folle e ordinate solitudini – sembra fatta apposta per confondere i sensi e avvolgerli in un vuoto in cui sbocciano possibilità e interrogativi; in lei si rincorrono vorticosamente altezze e distese, binari e grattacieli, pareti di vetro accecante e marciapiedi luridi di vomito.
Verticalità e orizzontalità si conoscono, si confondono, si contaminano, così come i piani della scrittura del romanzo, che s’intrecciano senza sosta coi suoni fascinosi della lingua giapponese, con l’ingordigia dei quartieri di Shibuya e Shinjuku, coi palpiti di una miriade di esistenze che paiono incessantemente chedere alla città un senso – o forse solo un nido – in cui rifugiarsi. E Tokyo non sa dire di no a nessuno.