Lo spirito giovane della calligrafiaRinchiusi in un libro, stampati ordinatamente e compressi fra le pagine, i versi giapponesi posseggono sempre qualcosa della natura morta. Quasi fossero germogli rari, preziosi, stretti tra le pagine di un erbario su cui aleggia un profumo vago di selve lontane e radure nascoste.

Le poesie nipponiche avrebbero bisogno di interi cieli: solo così, forse, i caratteri e gli ideogrammi (kanji) che le compongono – mosaici di schegge di significato – potrebbero dispiegarsi nella loro pienezza, facendo sbocciare appieno le promesse di senso.

La calligrafia sembra riuscire miracolosamente in questo, restituendo all’occhio dell’osservatore quella loro natura metà terrena e metà aerea: il pennello, mosso da mano sapiente, li fa schiudere con dolcezza o energia; la seta accoglie i ricami d’inchiostro; la carta pare assorbire i tratti sino a farli propri. Tutto ciò emerge in modo magistrale ne Lo spirito giovane della calligrafia classica (GoBook, pp. 59, € 18), a cura di Virginia Sica e Francesca Tabarelli de Fatis, dedicato alla personale tenuta dalla maestra calligrafa Kataoka Shikō nel 2005 presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca.

Semplice catalogo degli esemplari in mostra? No; piuttosto, raccolta di esatte meraviglie e mappa puntuale per il lettore che vuol collocare quelle parole vergate con tanta perizia in un orizzonte complesso. Le opereispirate a celebri testi della letteratura nipponica, quali il Manyōshū, il Sanjūrokkasen e le Poesie di cento poeti, o a componimenti meno noti ma comunque suggestivi – sono pertanto accompagnate da ricche schede esplicative, di taglio soprattutto letterario, che non sminuiscono la bellezza dei versi e della loro realizzazione grafiche, bensì la esaltano.

I ro ha uta calligrafia
La composizione “I ro ha uta”

L’esempio più perfetto ne è forse lo I ro ha uta (composto in epoca Heian, tra il 794 e il 1185) che, attraverso la forma chiamata pangramma o pantogramma (poiché utilizza tutti i kana, ossia i caratteri dell’alfabeto sillabico, a eccezione di n), celebra il mujō, l’impermanenza. Sospese nel candore del pannello, le parole emergono fragili dal vuoto. Come le nostre vite, che affiorano un istante nel mare dell’essere, per poi svanire.

i ro ha ni ho he te chi ri nu ru wo
wa ka yo ta re so tsu ne na ra mu
u wi no o ku ya ma ke fu ko e te
a sa ki yu me mi shi we hi o se su

iro wa nioedo chirinuru o
waga yo dare zo tsune naramu
ui no okuyama kyo koete
asaki yume miji ei mo sezu

Del colore dei fiori aleggia il profumo, ma ben presto svanisce.
In questo nostro mondo, infatti, nulla è per sempre.
Valica oggi le impervie montagne delle illusioni dell’esistenza;
non più sogni effimeri, non più ebbrezza del vino.

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