Sono felice di ospitare un nuovo saggio di Mariella Soldo (che ringrazio caldamente), dedicato a un romanzo di Kawabata:  All’improvviso, il doppio: Koto ovvero i giovani amanti della città imperiale. Buona lettura.

* * *

…a tutte quelle donne
senza volto.

Il tema del doppio ha sempre attratto numerosi scrittori, da Plauto a Shakespeare, da Stevenson a Dostoevskij, con forme sempre più vaste e differenti. Doppio come altro, doppio come crudeltà o bellezza, doppio come doppio dell’altro. E potremmo continuare così, all’infinito.

Per parlare di questo romanzo breve o racconto lungo di Kawabata, Koto ovvero i giovani amanti della città imperiale, mi piacerebbe iniziare con un riferimento al mondo dell’arte, in particolar modo a un quadro di Velasquez, Venere allo specchio.  

velazquez venere
 

Al di là del senso mitologico della rappresentazione, mi ha colpito un dettaglio. Il volto della donna che vediamo di spalle è raffigurato dal pittore in uno specchio. Allo spettatore non è permesso conoscere il vero volto della donna. Quella che vediamo riflessa è la sua vera immagine o una percezione? Con questa domanda, m’inoltro nel testo di Kawabata, che si apre con la stagione della primavera, evocata dall’odore e dai colori delle violette:

«Chieko  scoprì  le  violette  fiorite  sul  tronco  antico  dell’acero.  “Sono  fiorite  anche quest’anno.” Con queste parole andò incontro alla dolce primavera.»

Chieko, abbandonata dai suoi genitori sin dalla nascita, viene adottata da Shige e Takichiro. Col tempo, la giovane donna instaura un rapporto speciale con quest’ultimo, che ama disegnare obi particolari ed eccentrici per la figlia, mescolando l’antico gusto a quello nuovo.
Già dall’inizio del racconto, si avverte una leggera inquietudine nell’animo della ragazza, che spesso s’interroga sulle sue origini, con fenomeni di ignara preveggenza attraverso i fiori:

«Tra la violetta di sopra e quella di sotto c’era una distanza di trenta centimetri. Ora, nel pieno della giovinezza, Chieko le stava guardando. Quella di sopra s’incontrerà mai con quella di sotto?».

Kawabata è un maestro nel tessere i fili dei sentimenti, così sottili e delicati, spesso velati da un gesto inafferrabile o da uno sguardo sfuggente. Il lettore avverte da subito che Chieko oscilla tra sensazioni indefinite e vive in assenza di qualcosa o di qualcuno, e non si tratta soltanto del bisogno di conoscere la sua famiglia d’origine. In realtà, siamo di fronte a una mancanza carnale, legata a una mutilazione ancestrale. Forse ha nostalgia di un viso che le assomigli, in cui identificarsi e ritrovarsi:

«Dopo  aver  pranzato  e  riassettato,  la  madre  e  Chieko  si  ritirarono  nelle  camere  al secondo piano. Davanti  allo  specchio,  Chieko  si  sciolse  i  capelli:    lunghi  capelli,  che  teneva  veramente ben raccolti. “Mamma!”  chiamò  al  di  là  del  tramezzo  scorrevole.  La  sua  voce  era  cupa  di pensieri.»

Durante una passeggiata con l’amica Masako, all’improvviso, giunge quello specchio mancante, piegato dal tempo e dal lavoro. Sua sorella gemella Naeko, tra un gruppo di ragazze, è addetta a pulire le sterpaglie della zona. È Masako, per prima, a notare la somiglianza, anche se Chieko, apparentemente, la rifiuta:

«”Averti rassomigliata a lei ti ha dunque colpita tanto?”
“No, neanche per sogno…” e d’un tratto Chieko si rammentò degli occhi della ragazza. Occhi di profondo sconforto in quel corpo sano di lavoratrice.»

La freddezza del momento non può protendersi a lungo. La stato d’animo di Chieko è stato turbato e la notte, come sempre, la interroga tramite il sogno, quel luogo in cui tutto ritorna, in una dolorosa verità:

« Più  che  un  sogno  era  stato  un  riandare  con  la  mente,  in  un  piacevole dormiveglia, alla giornata trascorsa nel paese di Kitayama. E più chiara le era balzata la figura della ragazza che le somigliava tanto. Alla fine,  c’era stata la caduta in mezzo al verde cupo… al blu, al blu come quello del monte dei cedri.»

Durante la festa di Gion, Chieko ritrova sua sorella nel silenzio di una preghiera troppe volte recitata, nella speranza di un impossibile incontro:

«Al tempo della festa Gion, il santuario Yasaka espone degli altarini simbolici. Fu lì che notò una ragazza che stava effettuando il nana-tabi-mairi:  lo capì subito, anche se le stava alle spalle. Il nana-tabi-mairi consiste in questo:  ci s’inchina di fronte agli dei, ci si allontana anche solo di poco e poi si ritorna nello stesso posto a pregare, per sette volte, senza nel frattempo rivolgere parola a nessuno. Chieko ebbe l’impressione di conoscere quella figura; la seguì nella stessa cerimonia. Lei s’allontanava verso ovest e poi si riavvicinava; Chieko si allontanava invece verso est.
Ma era l’altra a dilungarsi ogni volta in preghiera. Il settuplice atto d’ossequio parve alfine terminato: per la ragazza e insieme per Chieko.
La ragazza la fissò con occhi spalancati.
“Per che cosa avete pregato?”  le domandò Chieko.
” Mi avete visto?”  fece di rimando l’altra, con voce tremante.
“Pregavo per sapere dove sia mia sorella. Ed eccovi qui!
Ci hanno fatto incontrare gli dei.” Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime.»

Nel momento in cui Chieko ritrova qualcosa che non ha mai conosciuto, la speranza di poterla tenere stretta a sé per sempre si rivela illusoria. Chi è Naeko per Chieko? Al di là del legame di sangue che le unisce, non esiste forse un vuoto temporale che, allo stesso tempo, le allontana?
Una sera d’inverno, al riparo in una stanza, Chieko invita Naeko a trasferirsi dalla sua famiglia, ma la ragazza avverte forte le differenze che caratterizzano le loro vite:

«”La nostra vita è diversa, anche il  grado di istruzione. Mi è impossibile vivere qui, assolutamente.”»

I piccoli momenti di tenerezza e di condivisione semplice, come ad esempio preparare un letto insieme, sembrano rappresentare “la vera felicità”. Purtroppo la felicità dei sentimenti sembra simile a quella neve che le ragazze osservano dalla finestra. Diafana, possiede la forza di ribellarsi persino all’oscurità ma non al tempo.
In quella notte gelida, Naeko decide di andare via, senza voltarsi. Quel volto tanto cercato, improvvisamente svanisce, mentre le case avvolte dal sonno fanno pensare a quei lunghi silenzi invernali che accompagnano un abbandono:

«”Non avrete nulla  per ripararvi. Aspettate” e le diede quanto aveva di meglio: un cappotto di velluto, un ombrello ripiegabile e alti zoccoli per la pioggia. “Ve li regalo. Tornate, mi raccomando.”  Naeko  scosse  il  capo. Chieko si aggrappò alla grata dell’ingresso e la guardò a lungo mentre si allontanava. Naeko non si voltò indietro. Sui capelli di Chieko cadde un po’  di neve finissima che subito si sciolse. Perfino la città di Kyoto era ancora immersa nel sonno.»

2 commenti il “All’improvviso, il doppio: ‘Koto ovvero i giovani amanti della città imperiale’ [di Kawabata]”, un saggio di Mariella Soldo

  1. Ho trovato questo libro all uscita della biblioteca centrale della mia città, Treviglio; nell’espositore dei libri che i lettori lasciano a disposizione di chi ne sia interessato. Si tratta della prima edizione italiana del 1968.
    Mi sono immerso nella lettura memore di un’altro libro di Kawabata “Il paese delle nevi” letto tanti anni fa e che mi era molto piaciuto. Anche questo libro mi è piaciuto molto e ho ritrovato la sensibilità per la natura e i paesaggi, il mutare del tempo e delle stagioni. Inoltre i riferimenti alle feste ed ai rituali ci socchiudono allo sguardo un mondo così lontano e diverso dal nostro. Consiglio la lettura. Per me non è stato un Inc, ontro casuale.

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