detective hanshichi delitti città di edoApparentemente, credi solo di essere immerso nella lettura di un libro. Poi, inizi un racconto a caso e tutto scompare, per lasciare posto a una città dimenticata. Si dissolvono poco a poco le pareti della stanza, e le finestre, le porte, gli oggetti; al loro posto spuntano vivaci botteghe di legno, piccoli banchi che vendono pesce per la strada, fili su cui ondeggiano kimono messi ad asciugare al sole. Il silenzio si sfilaccia e sorge un allegro frastuono: i bambini ridono a voce alta, le vicine chiacchierano tra loro, mentre i venditori di patate arrosto incoraggiano i clienti con grida insistenti.

Ecco, questo è Detective Hanshichi. I misteri della città di Edo di Okamoto Kidō (1872 – 1939) (trad. a cura di P. Ferrari; O Barra O Edizioni, 2011, pp.  240, € 14; ora in offerta su Amazon.it a € 11,90 cliccando qui), uno dei padri del genere poliziesco in Giappone. Il volume (che a brevissimo sarà seguito da un secondo) racchiude una piccola ma significativa parte del corpus giallo dello scrittore (sviluppatosi  tra il 1917 e il ’37), ospitando undici suoi racconti mai editi prima in Italia, preceduti da un’ottima introduzione del curatore americano, lo studioso Ian MacDonald. Distaccandosi dalla produzione precedente, costituita tra l’altro da materiali di origine cinese (come Tōin hiji monogatari, Casi uditi sotto il cespuglio di ciliegie cinesi, tradotti nel 1649) e autoctona (si pensi per esempio a Honchō ōin hiji, Casi uditi sotto l’albero di ciliegio giapponese, pubblicati nel 1689 da Ihara Saikaku), e dai resoconti di cronaca nera apparsi sui giornali alla fine del diciannovesimo secolo, Kidō inaugurò il poliziesco ‘alla giapponese’, non esente però da numerose influenze, compresa la saga di Sherlock Holmes di  Arthur Conan Doyle.

 A leggerle oggi – abituati come siamo a qualsiasi tipo di orrore spettacolarizzato dai mezzi d’informazione – le vicende narrate ci paiono quasi ingenue, anche se è inevitabile provare ammirazione per il fiuto di Hanshichi e, ancor di più, simpatia per il suo carattere. Burbero, pragmatico, a volte ironico sino al sarcasmo e capace di sorridere dei suoi errori (come ne La stanza sopra i bagni), l’uomo sa però mostrarsi all’occorrenza sensibile e generoso, dal momento che, pur credendo fermamente nella giustizia, non ne è mai soggiogato. La “lunga faccia magra decisamente singolare, con un naso prominente e occhi espressivi […] gli [dà] l’aria di un attore di kabuki”: e Hanshichi, in fondo, attore lo è davvero per la capacità di adattarsi a qualunque situazione con naturalezza. L’ispettore, infatti, sa stare a suo agio tra samurai, religiosi e comuni cittadini, sfruttando a suo favore vizi e virtù di ogni classe sociale, facendo leva se necessario sull’onore di una dama o sul timore delle percosse da parte di un giovane furfante.

Tutti i racconti di Hanshichi sono ambientati nella Edo (la vecchia Tokyo) del pieno Ottocento, tra gli anni Quaranta e Ottanta, quando ancora non era stata pienamente travolta dal turbine della modernizzazione. Ed è lei, in fondo, la vera protagonista delle storie: una città senz’altro pittoresca, con le sue strade affollate e gli improvvisi, stupefacenti scorci, ma anche rumorosa, ambigua, contraddittoria, pronta a dare riparo nei suoi bassifondi a malviventi di ogni risma o inquietanti spettri assetati di vendetta. Una città di vicoli morti e di angoli lividi, che certo avrebbe conquistato il Tanizaki del Libro dell’ombra, e della quale Kidō appare nostalgicamente innamorato. E’ probabilmente per questa ragione che le sue pagine appaiono vivide, stilizzate, eppure così piene di poesia, anche quando la sua penna si sofferma a descrivere quartieri malfamati e attività umilissime. Persino il rintocco di una campana che scuote le stelle nella notte, il passo leggero di un ladro sul muschio o i calli dei mignoli attragono l’attenzione dell’autore, impaziente di ricreare pennellata dopo pennellata un mondo tanto vagheggiato quanto perduto.

Le giornate avevano cominciato ad accorciarsi, e quando la campana della sera suonò le sei, l’interno della piccola casa era ormai quasi buio. Okame venne sulla veranda con una fiaschetta di sakè, alcuni involtini e qualche fascio di susuki, le cui fronde frusciavano nella fredda brezza serale che si faceva sentire fin dentro al kimono senza fodera di Hanshichi. Era ora di cena, sicché il detective si fece comprare da Okame, in un negozio del posto, alcune anguille cotte alla griglia di cui offrì una parte alla sua ospite e alla figlia, sentosi a disagio a mangiare da solo.
Terminata la cena, il detective tornò nella veranda con uno stuzzicadenti dondolante dalle labbra e alzò gli occhi al vasto oceano del cielo blu scuro che si stendeva sopra di lui, irregolarmente diviso dalle gronde sovrapposte delle case nella stradina. La luna piena non si era ancora alzata, ma a oriente il pallido brillio giallino al limite di alcune nubi annunciava il suo arrivo. La rugiada che aveva cominciato a cadere mentre cenava all’interno, scintillava ora sulle foglie avvizzite di due campanule in vaso esiliate nel giardino, apparentemente non più bene accolte in casa.

(brano tratto da La dama di compagnia, p. 220)

Immagine tratta dall’Edo Meisho Zue (I siti famosi di Edo illustrati), pubblicato tra il 1829 e il 1836.

7 commenti il Hanshichi e la città delle ombre

  1. Le avventure di Hanshichi sono molto piacevoli e anche divertenti da leggere! L’unico rammarico è la traduzione dall’inglese… sarebbe sempre meglio tradurre dalla lingua originale!
    Personalmente provo una leggera diffidenza nei confronti dei testi non tradotti direttamente dal giapponese, anche perché spesso chi traduce dall’inglese non ha la stessa conoscenza della cultura giapponese degli yamatologi (o nipponisti, che dir si voglia!), oltre al fatto che la doppia traduzione talvolta porta a delle modifiche del significato originario.

    E’ da tanto che seguo il tuo blog e la tua pagina su Facebook, ma non avevo mai commentato. Da persona non proprio digiuna in materia, ritengo che il tuo blog sia molto interessante! Complimenti e continua così! Ganbatte!!

  2. Alessandra, ti ringrazio molto per il tuo commento che ti ha fatto ‘uscire dall’ombra’.

    Per le tue stesse ragioni, anch’io preferisco traduzioni dalla lingua originale (si tratti di giapponese, tibetano, turco non m’importa); in alcuni casi (come questo) mi concedo uno strappo alla regola, soprattutto se ho il sospetto che la traduzione dall’originale potrebbe non arrivare mai o con tempi molto diluiti. Non ti nascondo che, però, quando leggo un libro appartenente a questa categoria, mi sorgono degli interrogativi. Non conosco l’originale di Hanshichi, però la traduzione dall’inglese mi è parsa ben fatta e coerente.

    Ps: grazie mille per i complimenti e l’incoraggiamento! A presto su questi schermi.

  3. Ciao Anna Lisa, grazie per la preziosa segnalazione!
    Anche io avrei decisamente preferito una traduzione dall’originale giapponese, comunque amo molto il mistery in versione nipponica (ho fatto anche un esame all’università, sicuramente uno dei più belli e interessanti!) e sicuramente cercherò di rimediarne una copia.
    Comunque, in italiano era stato pubblicato anche il racconto “La Lanterna di pietra” nella rivista M-rivista del mistero n.4 (edizioni Alacran), se ricordo bene, con traduzione direttamente dal giapponese.
    A presto 🙂

  4. Avevo individuato questo libro e questo autore tempo fa, sempre avida di scoprire altri esponenti della letteratura giapponese, sia pure “di genere”.
    Ho comprato la mia copia a “Più libri e più liberi”, lo scorso dicembre, e a breve comincerò a leggere. Per chi è interessato, oltre al “leggendario” Edogawa Ranpo, fondatore del genere “giallo/noir” in Giappone, consiglio anche Masako Togawa, in particolare con “Appartamenti per singore sole”, e “Un bacio di fuoco”, poi ancora Natsuki Shizuko, con “Tempesta d’autunno” e Keigo Igashino, con ” Il segreto del lago”.
    Ma la mia fortissima raccomandazione va all’unico romanzo pubblicato in Italia di Miyabe Miyuki con “Il passato di Shoko”.
    In verità, si tratta tutte di storie alquanto anomale, non il classico giallo, per intenderci, alla Agatha Christie. Per questo, forse, ancora più interessanti da scoprire.

    Per quanto concerne la traduzione dall’inglese, purtroppo credo che tuttora la maggior parte dei romanzi di Mishima, almeno quelli editi da Feltrinelli, sono soggetti alla stessa condizione.

    Piuttosto, il mio rammarico è di non conoscere (nè avere la pazienza di conoscere) il francese, dal momento che in Francia la letteratura giapponese è particolarmente amata e tradotta in abbondanza.
    Grazie a questo blog scopersi anni fa la libreria Junku – do di Parigi. Ci sono andata e garantisco che bruciano le mani dalla voglia di comprare libri su libri…

    Ma sto divagando…

    Barbara

  5. Complimenti per il blog, ch seguo regolarmente anche se non commento mai. Apprezzo molto il Giappone e in questi giorni sto leggendo proprio il libro che presenti, perciò ho letto il tuo post con grande piacere. Prendo nota anche dei suggerimenti di Barbara. Un caro saluto.
    Annarita

  6. Mi unisco alle raccomandazioni di Barbara, due commenti sopra il mio: “Il passato di Shoko” è assolutamente da leggere!
    Personalmente in certi punti ho fatto un po’ fatica a proseguire, ma sicuramente merita.

    E riallacciandomi a quanto già detto da altri, per gli amanti del genere mystery/giallo “La belva nell’ombra” di Edogawa Ranpo e “Appartamenti per signore sole” di Togawa Masako sono un must!

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